sabato 7 gennaio 2012

I Sordomuti non rientrano





Questo racconto, uscito dalla penna straordinaria di Markus non fa ridere. Ma è Giuristipernaso comunque.


Alle 22,31 ho appena terminato di pulire il refettorio grande. Ho spazzato i tavoli ad uno ad uno, li ho lavati con una spugna imbevuta di acqua e disinfettante, ho appoggiato tutte le sedie sul loro tavolo - 3 da un lato, 3 dall'altro -, ho scopato per terra, raccogliendo un mezzo sacco di briciole e residui. Non dovevo lavare il pavimento, che si lava solo ogni 3 giorni, ed è per questo che ho terminato alle 22,31.
Loro sono usciti alle 19,00 su un pulmino. Sono andati a ballare; rientreranno alle 23,00. Mi ha fatto piacere restare da solo nell'istituto. Quando è il mio turno per le pulizie non voglio averli tra i piedi. Mi distraggono, e Dio solo sa se ci vuole concentrazione per fare i lavori.

Mi stanno intorno, debbo scostarli, mi guardano, finisco col fare le cose due volte, e né l'una né l'altra le faccio bene. Perdo il doppio del tempo. Se sono da solo, invece, lavoro svelto, in allegria, e canto, canto per esempio "Pepito" come stasera, e il tempo passa in fretta e faccio tutto bene.
Potrei cantare anche quando ci sono loro, ovviamente, ma me ne fanno passare la voglia. Potrei cantare anche quando ci sono, ovviamente. Ci mancherebbe solo che me lo impedissero, o che io prenda ordini da loro.
In questo momento varco la soglia del primo edificio e rabbrividisco a vedere in controluce quanta polvere c'è sul pavimento e sono le 22,37. Calmo e deciso mi dirigo verso lo sgabuzzino, apro la porta dello sgabuzzino, entro e afferro una scopa verde dal lungo manico rivestito di plastica blu, riparato qua e là con strisce di nastro adesivo nero, e una paletta verde.
 Inizio a spazzare il pavimento dal fondo del corridoio e procedo con metodo verso la porta. 






Spazzo con movimenti simmetrici e paralleli, ruotando armoniosamente le spalle, e ad ogni colpo di scopa pulisco un rettangolo lungo 3 mattonelle e largo 2. Per terra trovo oltre che polvere anche lanuggine che potrebbe essere formata da polvere agglomerata ma anche da peli staccati, pelurie di abiti, tele di ragno, e trovo anche cicche, tappi di birra, e dire che non si potrebbe né bere né fumare in istituto, e gusci di noce, eppure non si potrebbe mangiare fuori dal refettorio, e una moneta da 100 lire che rapido intasco come se fosse una mancia involontaria. Rasserenato, canto "Pepito mi corazon".

 I tappi, le cicche, i gusci danno un'idea della loro maleducazione. Ora, io non escludo che lo facciano apposta a sporcare, perché sanno che tocca a me pulire, e che fumino, bevano, che mangino per lo stesso motivo, per predisporre le condizioni del luridume.



Più di una volta li ho sentiti ridere mentre passo, ridere dietro le mie spalle. E per quanto io non capisca i suoni che emettono, disarticolati e informi come sono, so che tra di loro si capiscono. Hanno una lingua tutta loro. Colgono minime variazioni che io non coglierei mai. Lo so, perché si guardano, mentre ridono, e si lanciano occhiate d'intesa, e se gli altri pensano che si capiscano dai gesti, dalle espressioni, io dico che secondo me chissà che cosa si raccontano con quei suoni.
Intanto sono le 22,48 e ho pulito la prima metà del corridoio; mi resta da fare la seconda metà, quella più vicina alla porta, che di solito è la più sporca, perché è la più trafficata, visto che ai due lati del corridoio si aprono le porte delle camere e quindi il corridoio sino in fondo lo percorrono tutto solo quei tre che vanno nell'ultima camera a sinistra, di cui io non so i nomi, che neppure mi interessano, tanto chissà qual è il loro vero nome nella loro lingua. 
Tra 12 minuti termina la libera uscita e per quell'ora io devo avere finito il corridoio. Arriveranno, cammineranno dove io ho spazzato, sporcheranno dove io ho pulito. Lo fanno apposta. Secondo me se trovano una pozzanghera di mota ci saltano dentro con i due piedi per farmi rabbia. Che poi, a un certo punto, sono loro che vivono qui, non io, e quindi peggio per loro se c'è sporco, ma io sono fatto così, non sono cattivo io, e non sopporto quando il mio lavoro va in fumo, tanto più quando, come in questo caso, lavoro per il bene degli altri e non per il mio.
Alle 22,59 finisco il corridoio e controllo l'orologio: sono le 22,59 e ho finito in tempo. Sono stato veramente bravo. Riporto la scopa e la paletta entrambe verdi nel ripostiglio, camminando in punta di piedi per non sporcare io stesso, e veloce esco dal corridoio e accosto la porta. Mi siedo 2 minuti su una panchina al fresco nel giardino e contemplo da fuori il mio lavoro che comunque non vedo perché la porta è chiusa.
Quando mi alzo dalla panchina sono le 23,01. Stando in piedi, mi accendo una sigaretta e tiro 2 o 3 boccate profonde che ne consumano quasi mezza, ma poi la spengo. Getto il mozzicone in un cestino e vado a controllare i bagni. Sono le 23,07 quando entro nel locale dei bagni e mi si stringe il cuore a vedere in che condizione sono ridotti.
Inizio a pulire le turche, una alla volta. Verso sulla ceramica del sapone liquido, mi inginocchio e con una spazzola strofino sino a togliere ogni macchia. Poi risciacquo con cura, di modo che non rimanga neppure una bolla di schiuma. Alle 23,34 ho terminato le turche e posso affrontare i lavandini. 



La libera uscita è terminata da 34 minuti e non sono rientrati. Mi faccio l'idea che il traffico abbia rallentato il pulmino. Oppure l'idea che ci sia stato un incidente sulla strada, o che il pulmino abbia una ruota bucata o che sia rimasto senza benzina. O anche l'idea che il motore sia guasto. Stacco i residui di sapone secco dagli angoli del portasapone: basta sollevare appena il bordo della scaglia con l'unghia, esercitando una piccola pressione, per vederla saltare. Se imparassero a sciacquare il lavandino, dopo essersi lavati. Strofino con la spugna i rubinetti finché risplendono. Lavo gli specchi con l'acqua e la carta di giornale, e finalmente posso vedere la mia faccia senza aloni, macchie o altri disturbi. Felice di questo, intono brevemente "Pepito".

Alle 0,03 passo a controllare le docce e mi esce un gemito. Per tacer d'altro, le tendine sono sporche, ci sono peli e capelli un po' dovunque, e parecchi tappi di shampoo giacciono abbandonati sulla pedana. Penso che se i tappi andassero ad ostruire lo scarico, e ci si incastrano a perfezione, faccio la prova 3 volte, potrebbe allargarsi tutta la sala da bagno, l'istituto intero, ma tant'è, forse è quello che vogliono. Che cosa ci vorrà a non far cadere il tappo, o, se proprio deve cadere, a raccattarlo. Sino alle 0,07 lo sconforto mi toglie la voglia di lavorare. Alle 0,07 prendo stracci e saponi e attacco a pulire la prima doccia partendo dal lato esterno.
Non lo faccio perché so che il cartello con su scritto "guasta" non li persuaderebbe a non usarla, o che non lo leggano, o che non lo capiscano, o che lo ignorino a bella posta per fare sempre il contrario come sempre fanno. Alle 0,18, inoltre, non posso fare a meno di rendermi conto che la libera uscita è terminata da 1 ora e 18 minuti e che ciò nonostante non sono rientrati. Escludo a questo punto che siano accaduti guasti, imbottigliamenti, incidenti. In ognuna delle circostanze che ora non ritengo possibili qualcuno mi avrebbe avvertito non so come. Faccio salva l'eventualità che sia accaduto un incidente grave e che ora siano tutti morti. Però la ritengo poco probabile. La spiegazione che ora mi balza evidente è che si siano ubriacati tutti. Sono andati tutti in qualche locale da ballo, tutti, autista compreso, e ora sono tutti sbronzi.

Alle 0,27 ho terminato di pulire la seconda doccia e, nonostante tutti i miei sforzi, non sono riuscito ad eliminare una macchia opaca, più o meno 30 centimetri a destra dello scarico, dovuta ad una scheggiatura della ceramica, simile di forma ad una foglia di mentuccia, lunga circa 28 millimetri e larga 19. Un po' deluso per l'imperfetta riuscita della seconda doccia, affronto la terza e sono le 0,28.
La terza doccia è la più pulita, perché è quella di mezzo, e a loro piace di meno. Le più frequentate sono le due esterne: posso dire che la terza viene utilizzata solo se uno di loro deve assolutamente lavarsi mentre tutte le altre 4 sono occupate. Me la sbrigo in poco tempo. Una rapida passata di sapone, una veloce sciacquata, ed è già pronta che brilla e sono le 0,32, anche se dà meno soddisfazione della prima perché era meno impegnativo farla brillare.

La quarta e la quinta doccia sono invece una dura prova, soprattutto la quinta, per le ragioni che ho detto. Mi ci metto d'impegno e finisco alla 1,08. Lavoro con un po' di stizza, perché davanti a me me li vedo ubriachi, allacciati, che ballano e ridono, e ridono forse di me assente o peggio non ridono affatto di me ma non si ricordano che io sono qui. Più loro ridono e ballano, più io strofino e inzuppo la spugna e così mi capita un paio di volte che la inzuppo troppo e faccio insomma un mal lavoro. Per farli smettere di ballare canto un po' "Pepito mi corazon", sempre più forte, anzi a squarciagola, ma parecchio stonato, mentre di solito mi vanto, io, di avere una bella voce.




Alla 1,09 esco dal locale bagni e mi fermo di nuovo nel cortile, e mi lascio accarezzare dal vento fresco che mi passa sulle guance e fra i capelli; tengo però le mani in tasca perché sono bagnate tuttora e mi si potrebbero screpolare. Penso con gioia che non rientreranno più. Sono rimasto solo. Posso finalmente lavorare in santa pace. Dato che non ci saranno più loro a sporcare, il mio lavoro si limiterà a qualche ritocco ogni tanto, per mantenere l'istituto brillante e nitido da fare invidia a tutti quanti, tranne che a loro, che anche se lo vedessero così bello e lucente non gli piacerebbe. Il vento leggero e il silenzio mi ammaliano lentamente e mi fanno sedere sulla panchina, dove ad ora imprecisata mi addormento con la testa reclinata sul petto, ma dormo solo pochi minuti, perché quando all'improvviso mi ridesto e sollevo il collo con uno scatto un po' doloroso guardo l'orologio e vedo che segna la 1,21.
Sono stato svegliato dal rumore di una porta che sbatte, perciò mi do un'occhiata in giro e mi accorgo che mi ero dimenticato di chiudere la porta del locale bagni. Visto che sono lì, controllo se tutto è ancora in ordine. Proprio nel centro di una delle grandi piastrelle del pavimento c'è un nodo di polvere umida. Mi inginocchio e lo raccolgo col fazzoletto. Tenendolo stretto nel fazzoletto, vado a gettarlo in un cestino nel cortile; poi metto il fazzoletto nella tasca sinistra dei pantaloni invece che nella destra, per ricordarmi di non usarlo, sporco com'è ora, e torno a chiudere la porta dei bagni. Il tempo scorre più veloce quando c'è buio, ovvero di notte io sono più lento, perché a questo punto è già la 1,33. Cammino intorno all'aiuola centrale del cortile per riprendermi un po', e canto svogliatamente "…mi corazon".




Il sospetto che non rientrino più si fa certezza: almeno non per stanotte. Occorrerà loro più di un giorno, forse tre o quattro, per riprendersi dalla sbornia. Socchiudo gli occhi e li intravedo mentre, goffi e appannati, continuano a ballare e sembra che debbano cadere a terra tutti quanti, rotolando in un mucchio, da un momento all'altro, eppure stanno in piedi. 
Alle 2,00 esatte, colpito dalla bellezza del numero pieno, e da quella non minore dell'angolo che formano le lancette a quest'ora, torno a dare un'occhiata ai bagni. Apro la porta, accendo la luce, controllo che tutto sia in ordine. Non c'è neppure la traccia di una mosca sul pavimento. Canto un pezzettino di "Pepito" e mi piace sentire la risonanza della mia voce nella grande stanza vuota. Ciò mi richiama alla mente, per contrasto, il rumore assordante e il calore assordante e l'affollamento assordante che c'è nel locale in cui loro stanno ballando tutti ubriachi e senza più né vergogna né equilibrio. 
Soddisfatto del mio lavoro e della mia solitudine richiudo la porta, dopo avere spento la luce. Mi incammino di nuovo nel cortile, ma non giro più intorno all'aiuola perché mi rendo conto che non c'è motivo per farlo e alle 2,07 bisogna risparmiare energie. Vado invece verso il refettorio grande. Apro la porta. Accendo la luce toccando l'interruttore che si trova sulla faccia interna del muro, a fianco della porta, a sinistra. Il salone è esattamente come l'ho lasciato. Entro e avanzo di circa 6 metri fra i tavoli intonsi. Mi fermo e, tenendo le mani sui fianchi, mi giro tutt'intorno a contemplare l'immenso numero di tavoli, vuoti e puliti e vuoti. 
Sotto il terzo tavolo alla mia destra una macchia sul pavimento mi offende, perché rovina la bellezza del tutto, specie se paragonata al nitore delle luci riflesse sulla superficie dei tavoli che ho reso così lucida. Penso con uno sguardo d'insieme a tutte le macchie che devono esserci sul pavimento, sotto i tavoli, anche se non sono numerose come quelle che devono esserci nel locale da ballo, macchie di cibo, di unto qua, di sudore, di vomito o peggio là, e sono le 2,14.
Ho ancora così tanto tempo che vado a cercare stracci e secchi, detersivo e bastoni per lavare il pavimento, cosa che non dovrei fare, perché lo laviamo ogni 3 giorni e ciò sarebbe domani sera. Ma è tanto bello un pavimento pulito. Entro nello sgabuzzino degli arnesi, che si trova in fondo al salone, incassato nella parete opposta a quella in cui si apre la porta dalla quale sono entrato, e cerco uno straccio pulito, e respiro a fondo l'odore di disinfettante, e sono contento che siano tutti fuori, e che io no.




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