mercoledì 4 gennaio 2012

Le recensioni di Eugenio Sanchez Molina (I Parte)



"L'unica differenza fra me e Salvador Dalì è che io non uso il profumo al cardamomo"
  Eugenio Sanchez Molina all'uscita di un Matinée, (in castigliano, Diurno)



LAVORI IN CORSO
(Collettivo Azienda del Gas)
(di Markus - vignette di Principe Myskin)

Non lesina certo le energie il nuovo collettivo Azienda del Gas: il suo strabiliante spettacolo “Lavori in corso” dura circa otto ore.
Questa straordinaria compagnia trasnazionale – abbiamo notato, fra gli attori, slavi, albanesi, nordafricani – si esibisce per strada, inserendosi pienamente nella più nobile tradizione dei giullari itineranti. La scena è quasi del tutto abolita, ridotta alla mera presenza simbolica di un nastro di plastica colorata che, sorretto da paletti, circonda il luogo dell'azione, stabilendo insieme una nettissima distinzione fra il mondo della finzione e il mondo reale, e una sorta di osmosi fra quelle stesse dimensioni: spesso gli attori valicano il nastro per interagire col pubblico, talora qualcuno del pubblico lo valica nel senso opposto, ma mal gliene incoglie, perché gli attori sono allora prontissimi ad attirarlo nel gioco di rabbie e frustrazioni
che sta alla base di questo singolarissimo Kammerspiel in open air.
All'inizio della messinscena, ci troviamo di fronte ad un gruppo di giovani uomini in calzoni e canottiera che, letteralmente, aggrediscono la città, sventrandola con pale e picconi e scavando una fossa che progressivamente si estende fino a far scomparire lo stesso spazio teatrale in un nulla senza ritorno.

Eleganza della postura, levigatezza della dizione e perfezione dell'emissione fonetica: i punti di forza del CAG


Lo scavo prosegue alacre, nel silenzio quasi assoluto; di tanto in tanto, con sapiente alternanza, gli attori esplodono in grida ed imprecazioni quasi bestiali, lamentando il caldo, la sete, la fatica. Abbacinante paradosso della condizione umana, ci dice l'Azienda del Gas: l'artificialità, la costruzione – costrizione della città di asfalto e di cemento, ci tiene prigionieri; solo ponendoci, nei suoi confronti, in un'ottica di severa contrapposizione dialettica potremo trovare via di scampo; e allo stesso tempo quella natura verso la quale, talora infantilmente, tendiamo a regredire per cercar conforto finisce con essere la causa immediata della nostra sofferenza. Ma soltanto se sapremo superare questa fallace alienazione la lotta contro la città sarà vinta.

L'arrivo del Deus ex Machina


Bravissimi, senza distinzione, gli attori: le loro smorfie di fatica, i loro movimenti sempre più lenti e spezzati, eppure carichi di dignità, il loro stesso sudore, la corporeità esibita senza mediazioni e perciò stesso straniante ci hanno dato emozioni raramente condivise.
Tra evidenti echi dell'insegnamento del Living Theatre e consapevoli citazioni del memorabile 'Ercole al centro della terra' messo in scena  nel 1973 da Peter Brook a Copenaghen, come non restare angosciati di fronte all'improvviso squarcio che si spalanca su una profonda rimeditazione del senso stesso dell'agire teatrale, dei ruoli giustapposti dell'attore e dello spettatore, quando, in uno dei momenti più alti di questo straordinario dramma aperto, uno degli attori, con forte inflessione slava, aggredisce verbalmente il pubblico, gridando scomposto: -Ma  che avete da guardare? Qua stiamo lavorando!.
Indimenticabile.
Voto: 5 stelle su 5. 

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